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19-09-2006 --> Return to articles
Il Gazzettino

IL VOLO DI ZUCCHERO VERSO TEMPI MIGLIORI
Presentato ieri a Venezia alla stampa mondiale, in un incontro a Ca’ Vendramin Calergi, il nuovo album "Fly" in uscita il 22.

Si chiama "Fly" il nuovo album di Zucchero in uscita in contemporanea in tutto il mondo il prossimo 22 settembre, quando il cantante si esibirà alla finale di Miss Italia. Fornaciari è venuto a presentarlo alla stampa mondiale ieri a Venezia. Nel palazzo del Casinò, Ca' Vendramin Calergi, Zucchero ha prima offerto un ascolto dei brani corredato da alcuni video appositamente approntati, alcuni destinati ad andare in circuito, altri semplici visioni "rubate" in un caso a "Novecento" di Bertolucci o giocate sulla moltiplicazione degli "Zuccheri" nella conclusiva "E di grazia plena", quindi, nella notte, sono comparsi gli strumenti, qualche musicista, ed è stata festa, in acustico, con la complicità della figlia Irene, del chitarrista Mario Schilirò, del polistrumentista Max Marcolini, con Sara Grimaldi ai cori e gli archi di Zita Pethö e della violoncellista veneziana Martina Marchiori.
"Fly" è un album d'amore e di malinconia, registrato negli Stati Uniti con prestigiosi musicisti, prodotto da Don Was - uno dei grandi produttori americani, caro ai Rolling Stones - e semplificato nei testi e nei suoni fuggendo dalla tecnologia di moda, per restituire invece la musica ai musicisti come un tempo.
"Come possiamo volare con le aquile se siamo contornati da tacchini", è il sottotitolo. Ma chi sono i "tacchini" per Zucchero?
«Ognuno ha il suo - risponde Fornaciari - qualcuno ignorante, insensibile, che ti impedisce di volare. Può essere una persona ma anche una circostanza. È che in questo periodo nel mondo c'è molta disarmonia, c'è arroganza, impazienza. A vedere un mondo così sto male e allora mi sono costruito la mia nuvoletta d'amore alla Fantozzi e me la sono messa sulla testa».
Don Was l'ha aiutato a cercare un suono «ruvido, sporco, analogico, convincendomi a preferire il feeling alla tecnica. Mi sono chiesto perchè le canzoni di una volta mi sembrassero più belle di quelle di oggi. Perchè oggi appena hai un'idea vai al computer e le metti subito un vestito musicale perfetto bellissimo, anche se magari sotto c'è poca roba, la melodia sta appena in piedi. Invece bisogna tornare alle radici, prendere la chitarra e andare sotto a un fico finchè non viene l'idea, da provare e riprovare. E poi ho pensato che anche musicalmente si poteva tornare al quartetto classico di base, voce, chitarra, basso, batteria».
La scelta dei musicisti però è stata particolare, dal ritorno di Randy Jackson al basso, alla chitarra di Mike Landau, la batteria di Jim Keltner che suonava con Lennon, Pino Palladino, Amir Thompson, batterista dei Roots, Tim Pierce, Greg Leisz, Waddy Watchel, Lennie Castro, Kenny Aronoff, Davey Faragher e molti altri, fra cui il ritorno dell'organo Hammond di Brian Auger.
«Amo l'Hammond, soprattutto il B3, quel suono alla Procol Harum, alla Vanilla Fudge. È uno strumento straordinario. Da ragazzo mi ero messo d'accordo con il parroco: facevo il chierichetto e poi lui mi lasciava suonare l'organo della chiesa. Ho usato molti musicisti ma cercando sempre di mescolare il vecchio e il nuovo».
Il nuovo tour partirà a febbraio, girando l'Europa con tappe a Zurigo e all'Olympia di Parigi.
Undici sono le canzoni di "Fly", dalla nota "Bacco perbacco" a "Quanti anni ho" dedicata al figlio Blu, a "Cuba libre" che ricorda gli antichi amori carabii, a "Let it shine" sulla New Orleans devastata dall'alluvione, a due brani scritti a quattro mani con Ivano Fossati ("È delicato") e Jovanotti ("Troppa fedeltà").
"Pronto" parla delle paure quotidiane, e della nessuna fiducia di americani, inglesi, italiani, musulmani e cristiani: «Io in verità ho paura di tutti, senza distinzioni».
"Cristo siamo nelle tue mani non battere le mani per carità", sembra molto intonata alle cronache di questi giorni...
«È un caso, come "Cuba Libre", scritta molto prima che Castro si ammalasse. Volevo scrivere da tempo un brano su Cuba giocando un po' con i doppi sensi. Amo Cuba, al di là dei comportamenti discutibili di Castro. Una volta Cuba e la rivoluzione erano viste come un simbolo di libertà per la mia generazione, ma non è un fatto di ideologie. Mi piace l'Avana, quella musica, quella cultura».
E di marijuana, che citi?
«Quella ci sta bene musicalmente, io delle parole guardo molto anche il suono»
La canzone che riprende l'idea musicale di "California Dreamin'" ma pesca anche in tante altre cose, da Manu Chao ai Bee Gees, non segna un po' la fine del sogno degli anni Sessanta, Cuba, il flower power, San Francisco?
«Si, nella canzone ci ho messo un po' di tutto, chitarre alla Mamas and Papas, un flauto alla Canned Heat... Ultimamente gli americani e la California mi stanno un po' stretti. Questi che vogliono "aiutare" tutti, i californiani così "politically correct" e così finti. Non è l'America che amo. Preferisco guardare a sud».
"Troppa fedeltà" è un curioso di atto di autoaccusa. Sei infedele e va bene così.
«Sono cresciuto con il rock'n'roll, per la strada, con quelli più grandi di me che mi spiegavano che qui oltre a suonare si fa anche sesso. Alle mie donne dico: "Sono così, mettetelo nell'inventario. Però sapete che poi torno sempre a casa". A qualcuna è andata bene a qualcuna meno. Ma se una volta mi sentivo in colpa e cercavo di migliorarmi, ora non ho più l'età».
Ma questa libertà di rapporto vale anche per le tue compagne?
«Ah, ...hmpf, beh... - quasi si soffoca cercando risposta - ma comunque è più parlarne che farne». "Quanti anni ho", dedicata al figlio e sottolineata dalle immagini di "Novecento" mostra il rimpianto per una certo tempo andato, quella civiltà contadina e comunista dell'appennino tosco emiliano negli anni della ricostruzione dopo la guerra: «È un periodo in cui ricordo grande armonia, anche in casa. Eravamo poveri, c'era fame, quest'album avrei voluto chamarlo "ciòca bec", che in dialeto è ciò che mi diceva mio padre quando chiedevo cosa c'era da mangiare: "Dei cioka bec", diceva. Che è "il becco che fa rumore" perchè è vuoto. Come dire che non c'era niente. Poi a 11 anni mi hanno sradicato, sono finito in Versilia, un'altra America che non mi piace. C'erano tanti figli di papà e altri del luogo che magari facevano debiti per imitarli».
Sei più tornato a Roncocesi, sui luoghi dove sei nato e cresciuto?
«No. Mi tengo i ricordi. Non vorrei restare deluso. Magari adesso alla Cop ci trovo i cattocomunisti, io che mi ricordo le corriere che partivano per Mosca». Erano i tempi e i luoghi di Peppone e Don Camillo, in fondo.
Ma i giovani d'oggi?
«Vorrei che crescessero veraci, mentre si insegna a essere diplomatici, corretti, senza nessuno a cui girano le balle ogni tanto, ma tutti però nervosi e insicuri perchè in fondo sono degli sbandati». Parlando con Fossati hai detto in un'intervista che non pagheresti 40 euro per vedere un tuo concerto...
«Non hanno pubblicato tutta la frase. Me la prendevo con certi prezzi da 120, 200 euro per vedere Madonna o i Rolling Stones negli stadi. Mi pare esagerato. Mi pare tanto per i ragazzi. Ma anche quando si dice che il pubblico è cresciuto, è più adulto, è perchè può permettersi di spendere 40 euro, mentre se fossi un ragazzo che non ha i soldi per le sigarette o per la pizza, prima di spendere 40 euro ci penserei su».
Tua figlia Irene ti seguirà in tour?
«Farà da supporter. Io avrei preferito facesse la veterinaria, ma ha talento. Sta costruendosi una carriera da sola. Il problema è che un giovane oggi come fa ad emergere? Le radio se sei giovane non ti suonano, in tv non ci vai. È stato dato troppo potere alle radio e così non solo non ci sarà ricambio, ma si è pure scoperto che i pezzi più suonati dalle radio venderanno meno dischi di tutti». Chissà se basterà tornare all'antico.


Giò Alajmo