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01-11-2006 --> Return to articles
Tribe

IO SONO IL MIO DISCO
“Se mi confronto con i miei coetanei, allora la mia età è ventotto, trent’anni al massimo. E non ce n’è per nessuno”. Parole seu. Innamorato più che mai del r&b, ma “con l’anima in fondo al Po”, Zucchero se n’è volato in America per incidere un album ruvido e diretto. Che se ne vola in classifica.

Si ferma un istante, prende fiato e scandisce: “Io sono il mio disco, né più e né meno”. E lo dice con quel ritmo panciuto che fa vibrare le parole nell’aria una per una: io ora sono come le canzoni di Fly, capito?
Mezzogiorno. Zucchero Fornaciari mica te l’aspetti così, dopotutto lui è il bluesman padano, quello di una sana e consapevole libidine, e adesso ci vuole un po’ per prender le misure del suo nuovo guardaroba di cinquantunenne che indossa, credendoci, le parole di un ventenne: amore, vibrazioni, paura.
“Se mi confronto con i miei coetanei, allora la mia età è ventotto, trent’anni massimo”. D’accordo, ma non esageriamo. Anche sulla copertina di Fly, l’obiettivo di Ari Michelson fotografa lo Zucchero che tutti sanno, felicemente vissuto più vicino alla tavola che alla palestra. Ma “io sono il mio disco”, e allora per capire ci vogliono le musiche, che sono quelle di un conservatore innamorato del rhythm’n’blues, per di più suonato da fenomeni come Greg Liesz o Brian Auger, così si può anche imparare un po’. Potrete pure scherzarci su, ma in giro si sentono pochi suoni a questo livello, altissimo, e il merito non è solo del produttore Don Was, uno che dà del tu ai Rolling Stones e che di Zucchero ora dice in giro a Los Angeles che “è uno con le palle”. E poi bisogna leggere i testi delle canzoni, che sono in punta di piedi sulla solita ironia (“Il tuo cervello non pesa un chilo / Da troppo tempo non passa di qua”, da Un kilo), sull’atmosfera da sagra di Roncocesi (le lasagne e la marijuana di Cuba libre) ma anche sui toni di E’ delicato, cioè lievi, poetici, gonfi di quella passione illusa che ce l’hai solo all’università. “Dici? Io non l’ho neppure fatta”. Comunque ormai lo sapete: appena pubblicato, Fly è andato in testa alla classifica, a febbraio partirà una tournée panciuta e stentorea come quella frase “Io sono come il mio ciddì”, e vediamo se sul palco anche a voi non sembrerà un altro Zucchero, migliore.
Però scusi, non è stato proprio lei a dire: “Io non spenderei mai quaranta euro per vedere un mio concerto”?
“Quella frase era solo un pezzo del mio discorso e presa così, staccata dal resto del discorso, sembra un’altra cosa. Io dico che spesso i biglietti dei concerti sono troppo cari. Se fossi un ragazzo di vent’anni e avessi solo quaranta euro in tasca, forse preferirei portare la mia fidanzata a mangiare la pizza piuttosto che a un mio show. Era solo autoironia”.
Mica tanto Zucchero. Lei in effetti non è ringiovanito?
“Guarda, mi hanno appena consegnato la mia nuova biografia, devo controllarla riga per riga perché non si sa mai”.
Appunto.
“Se mi guardo indietro, se penso a tutto quello che ho fatto, devo ammettere che non mi sono mai fermato. Però di testa sono giovane, più giovane di prima. Forse perché sto bene, sono in pace e soprattutto me la sono conquistata”.
In Fly c’è il brano Quanti anni ho. Quanti sono, Zucchero?
“Ma quella è una canzone dedicata a Blue, mio figlio. Con lui inizio di quei discorsi che non avrei mai immaginato di poter fare, parliamo di tutto. Poi faccio lo scemo, mi rotolo per terra e divento bambino anch’io, altro che cinquantenne”.
Ma insomma, parla da nonno. Adesso le scappa anche l’elogio della vita domestica?
“Mi piacerebbe, anche perché con Francesca sto benissimo. Ma, se sto a casa, dopo un po’ non so più che cosa fare. Certo, amo viaggiare per suonare dal vivo, non per fare promozione in giro per il mondo. A ottobre ho fatto quindici giorni tra Svizzera, Germania, Francia, un tour de force pazzesco”:
Per registrare Fly è andato fino a Hollywood, California.
“Ho portato i provini delle canzoni che avevo già preparato a casa mia. Di solito con Corrado Rustici, che è stato per tanti anni il mio produttore, ci sforzavamo di cambiare poi i suoni in studio, di migliorare, di raggiungere la perfezione. Stavolta Don Was ha sentito una canzone, poi un’altra, poi si è soffermato su di una parte di organo che avevo suonato io, che non sono poi così capace a farlo, e mi ha detto: “D’accordo, non è la tecnica migliore del mondo, ma l’atmosfera è quella che volevi tu, è la tua canzone, non ha senso cambiarla. Potremmo anche convocare il miglior organista che c’è. Ma quando arriva qui, suona come hai fatto tu, e allora è inutile. Oppure suona come vuole lui, e allora è dannoso”. Ecco, questa è l’idea del mio cd: creare musica che trasmetta emozioni, a prescindere dalla perfezione stilistica”.
Dicono sia un disco vintage.
“Non so, ma è la prima volta che un mio album è esattamente come volevo. Già tanti anni fa dicevo: sogno di registrare un disco con un semplice quartetto, senza altri trucchi. E ora ce l’ho fatta. Questa è la mia musica, l’ho seguita, cresciuta, adorata fino a quando è arrivata nei negozi”.
Due anni fa, qui al Lunisiana Soul di Pontremoli, lei aveva già negli occhi l’angoscia di comporre i nuovi brani. Processo lento e doloroso il suo
“Non sono mica come Johnny Hallyday, che arriva in studio, prende quello che gli passa il convento, canta e poi se ne va. Io invece partecipo a tutto”.
Un martello. Chissà com’è felice chi lavora con lei.
“Una volta stavo camminando per strada a Los Angeles con Don Was. Parlavamo del più e del meno. A un certo punto gli chiedo: “Ma io sono troppo rompicoglioni?”. Lui si gira e mi dice: “Ma tu pensi che Bob Dylan abbia fatto diversamente?”. È rimasto in studio dall’inizio fino a quando è stato terminato il master”.
D’altronde lei ha chiamato in studio musicisti come Kenny Aaronoff o Amir Questlove. Vuol dire che ha a cuore i particolare.
“Quando mi sono ritrovato di fianco a Jim Keltner, che è un pezzo di storia del rock, mi sono venuti i brividi. Ma ci sono altre grandi soddisfazioni. Per esempio, i batteristi di Fly sounano davvero, non imitano le drum machine come si fa oggi. Hanno il ritmo del dolore, della paura, della gioia a seconda di quello che racconta la canzone”.
Risultato?
“Secondo me Fly rappresenta il mio desiderio di trasmettere amore. In questo momento mi sento molto creativo, come ai tempi di Oro incenso & birra”.
Perché, in altri periodi lo è stato di meno?
“Non è un problema di creatività, ma di stati d’animo. Ai tempi di Miserere ero cupo, poi con Spirito DiVino mi sono ripreso, con Bluesugar ero di nuovo malinconico, dark. Ora se potessi, tornerei subito a comporre altre canzoni. Ho un sacco di cose belle da dire”.
Allora non farebbe come Moranti, che ha pubblicato un cd e contemporaneamente iniziato un programma tv?
“Non l’ho mica visto il suo show. Io mi spaventerei a stare più di due ore davanti a una telecamera, con tutta la scaletta bella e pronta. Ho già il terrore di un semplice concerto, dove se voglio posso cambiare le canzoni oppure mettermi a parlare oppure uscire. Io sono impaurito dalla fissità”.
Ma ormai le tournée si organizzano con mesi di anticipo.
“Non è più come una volta, quando si poteva decidere anche il mese prima. Adesso c’è il problema della prevendita, dell’organizzazione e di tutte quelle cose lì. C’è meno libertà, insomma, e troppa rigidità”.
Allora lei avrà i suoi riti speciali prima di salire in scena.
“Tengo sempre la porta del mio camerino aperta, così mi distraggo e ho meno paura. Poi mangio qualcosa, bevo un po’ di vino, magari un bicchierino di Jack Daniel’s. Quando sono lì, mi vengono i pensieri più strani, e più affascinanti. Per esempio: quando sarò vecchio voglio scrivere un libro. Oppure mi piacerebbe recitare”.
Ma non lo fa già sul palco?
“Vorrei un ruolo come quello di Depardieu in Novecento di Bertolucci”.
Ma spesso lei ricorda l’altro protagonista di quel film, De Niro: romantico, aggressivo, sboccato.
“In realtà io faccio solo il musicista. Vedo Sting o Bono che si impegnano in altre attività, ma io non sono come loro”.
Però i suoi colleghi la seguono. Jovanotti l’ha aiutata in Troppa fedeltà e Ivano Fossati in E’ delicato.
“Grandi amici. E dopo aver sentito il mio disco mi ha chiamato persino De Gregori per dirmi che a Natale pubblicherà una versione di Diamante. Tutte queste cose mi fanno sentire molto creativo. Come mi ha ridato nuova energia l’aver suonato nel mio cd, l’aver ripescato vecchi suoni e averne scoperti altri”.
Lo sa che anche Bruce Springsteen ha detto le stesse cose: “Riscoprendo il passato sono diventato più giovane”?
“Quando sono andato a vederlo all’Arena di Verona, a ottobre, ho pensato che si stesse divertendo davvero. Chapeau. Quella sera il pubblico mi ha anche fatto le feste. Ho sentito dentro di me una buona vibrazione, la vibrazione di quando si hanno trant’anni e non ce n’è per nessuno”.


di Paolo Giordano