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01-07-2004 --> Return to articles
Rockstar

IO E ERIC
Incontri con Clapton, tra un pub di Brera e un hotel di Memphis dove le papere vanno in ascensore

La scorsa volta vi ho raccontato del mio incontro con Miles Davis. Un incontro che mi porto nel cuore, ma che mi ha procurato molti problemi con un giornalista romano che vive da anni a Milano, che scrive per un importante quotidiano e non sopporta che qualcuno possa diventare amico di un suo idolo. Da purista e grande conoscitore del jazz, non credeva ai miei racconti: “Zucchero, non raccontarmi balle. Figurati se una leggenda come Miles ha registrato un brano con te. Se l’ha fatto, è solo perché gli avrai regalato una Ferrari”. Vabbé, non crederci. Un giorno, vado a Bolzano per una foto session con Miles. Sono lì che aspetto in hotel, quando vedo il giornalista: “Che ci fai qui?” domanda “Devo vedere Miles”. E lui: “Ancora con questa storia? Adesso sapremo la verità, perché io e lui siamo amici da una vita”.
Arriva Miles, appena vede i giornalisti entra dal retro e si sistema al ristorante. Non vuole vedere nessuno. Il giornalista, di là dal vetro, si sbraccia: “A Miles, me riconosci? So’ io”. Miles non fa una piega. Esce il suo tour manager e viene da me: “Zucchero, Miles needs to talk to you”. Entro. Mi dice che la notte prima, in Austria, pensando a me, aveva improvvisato un blues e voleva che io mettessi le parole in italiano e le cantassi. Mi dà una cassettina. Torno a casa esaltato, ma non faccio in tempo a mettermi al lavoro che Miles muore. Da quel giorno, il giornalista ha fatto di tutto per danneggiarmi, nel migliore dei casi ignorandomi, nel peggiore stroncandomi. Va bene così, anche se non è un gran comportamento. Cosa ho poi fatto di male, non so.
Cambiamo pagina e parliamo di Manolesta. Eric Clapton, il mio artista preferito. Lo conosco tramite Lory Del Santo. Ero negli uffici della Polygram, che è ancora la mia etichetta ma che, quando Stefano Senardi era presidente, era un’altra cosa. Stefano è il miglior presidente che ho avuto: grande intenditore, bella persona. Si avvicina Lory, che, pur senza esserci mai visti prima, mi abbraccia: “Zucchero, ho ascoltato Blue’s, è davvero un disco fantastico. Ne ho mandato una copia anche a Eric. Tra l’altro, stasera è a Milano, ti va di uscire a cena con noi?”. “Mi va sì” rispondo “ma dovresti chiedere a lui”. Lory riprende: “Non ti preoccupare, sarà felicissimo. Ti passiamo a prendere alle nove in albergo”. Alle nove, puntualissimi, mi aspettano nella hall. Mangiamo, beviamo e parliamo. Dopo cena, ci spostiamo in un pub di Brera, dove c’è un tipo che suona dal vivo. La gente, vedendo entrare Eric Clapton, me e Lory Del Santo, non crede ai suoi occhi. Eric, gentilissimo, mi dice che gli piace molto la musica che faccio. Prima di scendere dal taxi, gli do una cassettina con sopra “Wonderful World”. Gli dico che la settimana successiva sarei stato a Memphis a registrarla. “Se ti va” aggiungo “magari suoni qualche nota”. Lo dico così, senza convinzione, giusto per non lasciare nulla di intentato. Con mia grande sorpresa, dieci giorni dopo, ricevo una telefonata di Clapton. Me la passano mentre sono nella hall del Peabody Hotel, l’albergo più bello e strambo di Memphis. Si chiama così, Peabody (paperella), perché tutte le mattine un fattorino in livrea stende un tappeto rosso nella hall, davanti all’ascensore per permettere a quattro papere di raggiungere la fontanella al centro della hall e sguazzare. Incredibile. Chiedo spiegazioni al mio Virgilio, il padre del Memphis blues, Rufus Thomas. Mi racconta che le papere vivono nella suite imperiale, all’ultimo piano. Due volte al giorno, scendono a fare il bagno, con i giapponesi che fanno le foto e i turisti che guardano allibiti i cartelli: “Divieto di pestare le zampe delle papere”. Il proprietario della catena Peabody aveva lasciato in eredità la sua fortuna a quattro papere. Se queste moriranno di morte naturale, gli eredi incasseranno, altrimenti niente. Ci pensate?
Dunque, Clapton mi chiama e mi dice che il brano è bellissimo: “Perché, prima di tornare in Italia, non ti fermi a New York e registriamo alla Hit Factory anche la mia chitarra?”. Non me lo faccio dire due volte.
Salto qualche mese. Esce Oro, Incenso & Birra. Parte il tour negli stadi. Dopo il concerto di Agrigento, un addetto alla security mi dice che ci sono Eric Clapton e Lory Del Santo fuori dai camerini. “Ti sarai sbagliato”, dico. No, sono loro. Cazzo. Eric mi dice: “Show fantastico, band fantastica, canzoni fantastiche. Il mondo dovrebbe vedere questo spettacolo. Vuoi venire con me in Europa per tre mesi? Partiamo a novembre”. Gli dico: “Io parto anche domani”. Ma ci pensate? Dodici date alla Royal Albert Hall, poi Helsinki, Madrid e tutte le capitali. Sono estasiato. Farei qualsiasi cosa. Eric Clapton guarda i miei pantaloni di pelle e dice: “Belli”. Non ci penso un attimo. Me li tolgo. Per la Royal Albert Hall avevo tutto il tempo di comprarne altri.

Tratto da: ZUCCHERO WHO? di Adelmo Fornaciari