La Repubblica
ZUCCHERO, ROCKSTAR CONTRO TUTTI “COLLEGHI, PIU’ CORAGGIO IN POLITICA”
Da Londra riparte in tour: all’estero mi vergogno dell’Italia
Dal nostro inviato: Giuseppe Videtti
LONDRA Ieri a Dublino, oggi a Londra, domani a Berlino. Poi un altro concerto al Cremino. Lo aspetta anche Milano, per il suo primo San Siro, il 14 giugno. Il 27 tornerà a Londra per partecipare, unico italiano, all’evento per i 90 anni di Nelson Mandela. Il 5 luglio sarà a Madrid con i Police. E, dopo l’estate, di nuovo in Sudamerica e negli Stati Uniti. A New York, il 27 settembre, tornerà a suonare nella prestigiosa Carnegie Hall. «Sono belle soddisfazioni», dice Zucchero dopo il trionfo alla Royal Albert Hall di Lontra, dove ha presentato le riletture in chiave rock dei classici contenuti nel recente All The Best un milione di copie vendute. Un miracolo: la lingua italiana riesce a sposarsi con il rock senza sembrare ridicola agli ascoltatori anglofobi, che hanno contribuito a fare di Zucchero un artista da 25 milioni di copie vendute. Con credibilità da vendere, se si pensa che Brian May lo invitò a prendere il posto di Freddie Mercuri nei Queen («Un gesto da vero amico, ma io non ero neanche un suo fan»).
«Il brutto di questi viaggi è diventato dover rispondere dei disastri dell’Italia”, sbotta l’artista accigliato “La domanda ricorrente è: “Avete votato Berlusconi una prima volta, poi una seconda, e adesso lo avete rivoltato. Errare è umano, perseverare diabolico”. E poi chiedono: “Che sta succedendo a Napoli? Possibile che un paese come il vostro non riesca a far fronte all’emergenza rifiuti?”. E io lì, affannato, a difendere l’indifendibile, a cercare di tirare fuori i loro scandali per minimizzare i nostri. L’Italia, per molti, è un sogno. S’illuminano quando dico che abito in Toscana. Poi l’entusiasmo si spegne: “Ma è molto difficile viverci, vero?”. Io abbasso gli occhi, e ammetto: “Lo è”». In un paese a corto di girotondi, il rocker non ha lesinato il proprio appoggio alla sinistra durante la campagna elettorale. «Sono nato nell’Emilia rossa», esclama, «in una famiglia di comunisti. Ma questo non vuol dire che sono rimasto attaccato alla falce e martello. Mi preoccupa il fatto che la cultura sia sempre strangolata dal centrodestra, come ampiamente dimostrato dal precedete governo Berlusconi. Dov’era allora la sinistra? C’è mai stata vera opposizione? Ci sarà ora che le armi sono spuntate? Vede, io ho smesso da tanto di credere nei simboli, ormai credo agli uomini. E i leader di sinistra sono storicamente più attenti alla cultura. Ma lo sa che Siriana (il portavoce di Prodi, ndr) è un grande chitarrista? Insomma lì si parlava di rock, qui invece trionfa Apicella. Non mi resta che sperare in Maroni, che una volta aveva una sana passione per il sassofono».
Poi, assorto, incalza: «Dove eravamo noi? Dov’erano gli artisti, i cantautori, durante una campagna elettorale tanto agguerrita?». E, con una punta d’invidia, pensa alla magnifica tournée “Vote for change”, organizzata nel 2004 per appoggiare la candidatura di Kerry a presidente USA e capitanata da Springsteen e Ben Harper, Rem e Pearl Jam.«Anche a loro è andata male, ma almeno ci hanno provato. Lì esiste una solidarietà tra gli artisti che da noi è utopia. Ma sbaglio o il rock è per sua natura una musica contro? Ecco, questo è quel che più ci manca, che la nostra musica abbia perso il suo potere eversivo. Oggi basta una schitarrata e un brano diventa rock. C’è crisi, non si vende più un disco, tutti hanno paura di rischiare, sono anni che non sento più un gruppo o un cantante che osi davvero. Tutti pensano solo al loro dischetto, a una canzoncina che faccia da traino, e io non faccio eccezione. È deplorevole questa nostra assenza, questa nostra incapacità di dire come stanno le cose, di mettere in piedi un drappello di artisti al servizio di una causa. Continuo a provarci, ma è difficile. Faccio volentieri un appelli ai miei colleghi anche da queste pagine.».
L’Italia del cattivo esempio funesta il suo tour mondiale. Riesce persino a smorzare l’entusiasmo dopo una serata da ricordare come quella alla Royal Albert Hall, in cui il pubblico lo ha salutato con una standing ovation. Zucchero si rianima mettendo a fuoco la sua esibizione al concertone per Mandela che si terrà a Hyde Park. « È la sfida dell’estate, vorrei cantare “Miserere”, un duetto virtuale con la voce di Luciano Pavarotti. Poi c’è San Siro, che per me è una sorta di battesimo. Lo trasformerò nel più grande teatro del mondo, con posti a sedere numerati, anche nel prato, a costo di sacrificare il numero dei biglietti a disposizione». Si rabbuia di nuovo pensando alla musica italiana che non cresce, ai giovani artisti che non hanno sbocchi. «Non è che all’estero vada meglio, a parte questa legione di girls inglesi guidata dalla Winehouse, con Adele e Duffy in testa. Da noi siamo convinti che la soluzione sia “X-Factor”. Ma lì non si fa altro che perpetuare gli errori di Sanremo: la musica in funzione dell’Auditel, gli artisti giudicati da inesperti televotanti che mai compreranno il loro disco. Intanto non c’è ricambio. E come dice Vasco: “Siamo sempre noi”».
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