Rockstar
IO E I QUEEN
Una casa al mare, il telefono che squilla. “Ciao, sono Brian May”. Dico: “Quello vero?”. “Sì, almeno credo”
Come va, ragazzi? Avete fatto buone vacanze? Io, pochi giorni. Tre.
Sono andato via in tenda con mio figlio, dalle mie parti. Tre giorni a fare il cowboy, con fuoco, fagioli e salsicce. La notte mi cagavo sotto. Come quella volta a Wembley, al tributo per Freddie Mercuri. Ero stato contattato da Brian May. Ero al mare, in una casetta isolata, a preparare Miserere, quando squilla il telefono. Tre del pomeriggio. Strano, penso. Sono in pochi ad avere questo numero.
“Pronto?”.
“Are you Zucchero?”.
“Sì, chi sei?”.
“Sono Brian May”.
Penso subito ai Queen e mi viene da dire, stupidamente: “Quello vero?”. Risponde: “Sì, almeno credo”.
Mi aveva visto alla Royal Albert Hall con Eric Clapton. Era un buon periodo per me, essendo appena entrato in classifica in Inghilterra con “Without A Woman”. Mi invita al Freddie Mercuri Tribute, con Guns N’Roses, Bowie, Elton John, Who, George Michael. Accetto al volo. Due minuti dopo mi viene male. Crisi di panico. Sarò all’altezza? L’agitazione aumenta quando arriva la lista di canzoni tra cui avrei dovuto scegliere la mia. Tutte le più conosciute erano già state prese. Alla fine opto per “Las Palabras De Amor”.
Proviamo a Londra, in un capannone, per una settimana, ma l’ansia non scompare. Per fortuna, arriva il giorno del concerto. Togliamoci il dente. Magari. Sono ghiacciato. Terrorizzato. Perso. Vedo Bowie parlare tranquillamente con tutti. Mi affaccio al palco e vedo la folla in delirio per gli Who. Mi prendo un calmante e mi convinco che ricorderò per bene tutto il testo e che non sverrò in mondovisione. Forse.
L’altoparlante urla: “Zucchero 5 minutes”. Vado al patibolo. Mi chiedo perché ho accettato. La folla è straripante. Salgo e muoio un po’. Mi guardo intorno e aspetto la chitarra acustica, che non arriva. Sono pietrificato. Nessuno mi dà la chitarra. E adesso che faccio? Quando sto per vomitare, Brian May mi fa l’occhiolino. Tranquillo, mi fa capire: parto io. Tranquillo un cazzo. Anche ora che scrivo, mi vengono i sudori freddi. Per fortuna, dopo le prime battute mi sciolgo. Alla fine non sarei più sceso. Dopo aver affilato la spada, ho combattuto ad armi pari. Il gran finale, molto soulful, finisce in un’ovazione. In sintesi, un incubo, un esperienza terrificante che mi sono goduto solo dopo e mai durante.
Da allora, io e Brian siamo diventati amici. Lo chiamo spesso per invitarlo al mio compleanno, quando suono. Mi ha raggiunto a Bologna , in Germania, a Londra. È sempre salito sul palco senza provare, perché lo invitavo all’ultimo momento. Lui, carinissimo, veniva comunque, saliva, collegava la chitarra all’ampli e suonava. Un mito. Una volta, dopo avermi invitato a Londra a vedere il musical sui Queen, We Will Rock You, mi ha anche chiesto di entrare a far parte della band. Sì, proprio dei Queen. In un tour. Gli ha dato del matto. Sostituire Freddy Mercuri? Lesa maestà. Sarebbe stato bello, essere un Queen, ma preferisco ambire alla corona di Re del Soul, almeno in Italia. Ci siamo rivisti altre volte, io e loro. Li ho invitati a Pavarotti 2003, dove ho cantato “We Are The Champions”. Brian si è innamorato di “Così Celeste”, io della sua semplicità. Mi ha invitato al concerto in Sudafrica per Mandela, lo scorso novembre. So cosa state pensando, che passiamo la vita a invitarci ai nostri concerti. È proprio così, perché il palco è la miglior festa possibile. Di più belle non ne conosco.
Tratto da: ZUCCHERO WHO? di Adelmo Fornaciari
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