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05-05-2007 --> Return to articles
Il Messaggero

ZUCCHERO ALL'OLYMPIA

PARIGI - Mettiamo subito in chiaro le cose: «Vasco è il re del rock e io sono il re del blues. In Italia ci siamo solo lui e io. Siamo come i Beatles e i Rolling Stones. E non si discute». Zucchero dixit. Ancora sudato per le due ore bollenti e filate sul palco dell'Olympia, Adelmo Fornaciari alimenta la sua sfrontatezza con l'adrenalina del successo. «Esagero?» dubita. Poi, a stemperare, aggiunge nel ristretto olimpo musicale di casa nostra Eros Ramazzotti: «Lui è il re del pop» concede. Il direttore del più celebrato teatro di Francia lo blandisce "Sugherò sei un grande». Due pienoni, il debutto giovedì, la replica ieri (con Johnny Hallyday che ha duettato in Madre dolcissima), il pubblico in piedi a ballare Diavolo in me, Cuba libre, Bacco perbacco. E lui a ringraziare "merci beaucoup" con le uniche parole di francese che conosce. Ma che importa, qui Sugar ha sfondato con il suo italo-emiliano in salsa americana. «Siamo cugini», proclama facendo appello ai luoghi comuni e ai numeri: "Il milione di copie di Best of, le seicentomila di Spirito divino, Il volo al primo posto in hit parade. il milione di copie vendute in tutt'Europa dal suo Fly.
È una bella soddisfazione per il "re dell'italian blues". Che può raccontare col sorriso della rivincita la bocciatura di Mina: «Le mandai Diamante, era l’84. Ma credo che non gliela abbiano neppure fatta ascoltare», racconta, dopo aver sentito la sua canzone applaudita dai 2500 dell'Olympia. E può rivelare un suo no all'amico Vasco Rossi, al quale aveva chiesto di mettere i versi a una sua canzone. «Mi ha mandato un testo con solo tre parole. Non potevo accettarlo, io sono più complesso. Gli ho chiesto se potevo finirlo, mi ha risposto di no». Con Vasco, comunque, restano i contatti: «Ogni tanto telefona. Dice che gli piacciono i miei album. Chiede: ”Devi scrivere qualcosa per me, ma alle parole ci penso io”. Poi sparisce. No, non siamo affatto rivali», assicura. Evita, però, di fare paragoni con il suo palmarès internazionale. Ma i fatti dicono che, mentre Vasco riempirà gli stadi in Italia, Zucchero sarà in giro per l'Europa e non solo: 180 date fino a dicembre, con estensione alle Americhe, più un po' di arene estive in da Milano a Verona.
A Parigi il debutto è andato davvero bene. Due ore intense (precedute dal set tutto acustico della figlia Irene), un viaggio attorno al meglio del suo repertorio con l'aiuto di una superband dove brillano David Sancious, uno che ha suonato con Springsteen, Sting, Clapton, Gabriel (che fa ottimi assoli alle tastiere e all'Hammond), come il bassista Polo Jones, uno che ha frequentato John Lee Hooker e Whitney Houston dei bei tempi (è il direttore musicale della band), come la chiarrista Kat Dyson, che si è fatta le ossa nella New power generation di Prince. Attento, attentissimo alla confezione, Zucchero si presenta seduto su un trono (sennò che re del blues è), in una scenografia dominata dalle grandi canne di un organo da chiesa (la palestra della black music), le divise da marchin’ band dei suoi uomini, due bassi tuba, una maschera di quelle del Mardi gras.
Il clima si fa subito intenso con uno dei pezzi migliori, Dune mosse. Poi, uno dietro l’altro, sfilano, i titoli di Fly: da Occhi a Un kilo con quel tormentone «il tuo cervello non pesa un kilo» che Zucchero assicura non è riferito a Vasco «come qualcuno ha voluto suggerire». Quindi comincia il viaggio a pescare nei ricordi senza sbavature, ripulendo perfino il testo di Urlo tagliando ”quel buco di...” della versione originale: «A me piace il linguaggio forte, però li hai esagerato, mi ha detto Vasco. Invece a me non disturba quell'espressione, anche De Andrè l’ha usata». Ci sono successi come Baila, Overdose, Il volo. Il finale è da manuale: la temperatura si surriscalda ma chiude la morbida You are so beautiful che fa ricordare ad Adelmo quanto l'abbia condizionato Joe Cocker (anche lui un re?). «Bonne nuit Paris, il blues non morirà mai» è il saluto finale.
Marco Molendini