Anna
AMO LE DONNE IN CUCINA
“La mia compagna ideale? È mediterranea, sensuale. Sa muoversi tra i fornelli, fare l’amore, e non trascura tutto per la carriera”. Il cantante presenta l’ultimo disco, Fly. E lancia messaggi: “Per avere successo bisogna uccidere un tacchino”
Di Donatella Calembo
La sua canzone più famosa si chiama “Donne”, argomento sul quale ha le idee chiare: “Non mi piacciono quelle che per la carriera trascurano tutto il resto”. Non ama le americane, “preferisco le mediterranee, semplici ma profonde, belle al di là dell’estetica, con una cultura verace e un carattere forte. Ecco, questo è il tipo di donna con cui vivere tutta la vita. Una con le palle”.
Adelmo Fornaciari, 51 anni (il nome Zucchero è in realtà un soprannome coniato dalla sua maestra elementare), è come sempre istintivo, immediato, “selvatico”. Ha appena presentato il suo ultimo disco: FLY, un album al quale ha lavorato a lungo con la collaborazione di grandi musicisti internazionale, registrato a Los Angeles e prodotto dal leggendario Don Was (lo stesso dei Rolling Stones, di Dylan, di Springsteen). Ci lavorava anche durante l’ultimo Festival di Sanremo, quando, invitato a ritirare l’onorificenza di commendatore, si scusò e non andò proprio perché impegnato in sala di registrazione. Ora FLY per lui è la cosa più importante. Ma chiacchierando della sua musica si finisce a parlare di tutto: chiesa, politica e sesso.
Ma tu che cosa pensi veramente delle donne?
Ne amo l’indipendenza ma anche la femminilità e la grazia. Mi piacciono quelle che si prendono cura di se stesse, dalla biancheria intima alla pelle. E quelle che sanno cucinare e lo fanno con amore: sesso e cibo sono affini, e una donna che non cucina esprime la sua sensualità solo al 70 per cento.
FLY è un disco che racconta molto di te. Del tuo legame con le radici.
Sì. Quando l’ho scritto sono tornato ai luoghi dove sono nato e cresciuto, a Roncocesi, in provincia di Reggio Emilia. Da ragazzino facevo il chierichetto lì, non per vocazione ma per poter suonare l’organo in chiesa. Tengo molto a quel posto. È per questo che sono tornato a vivere tra l’Emilia e la Toscana.
Per un artista però ispirarsi al passato è un rischio. Non hai paura di ripeterti?
Evito sempre di rifare ciò che ho già fatto. Ma volevo riascoltare il suono di quell’organo, tornare al tempo in cui usavo solo un vecchio strumento e la mia voce, nient’altro. Ho scritto il nuovo album in mezzo alla natura, all’ombra di un albero, con un preciso obiettivo: arrivare all’essenza della melodia. Proprio come facevo all’inizio, quando non potevo permettermi niente se non la mia chitarra. Nei miei precedenti album, invece, ho lavorato in megastudi dove tutto era perfetto, “viziato” dalla tecnologia.
E il conflitto tra sacro e profano, sempre presente nelle tue canzoni?
Anche quello risale alla mia infanzia. La mia famiglia era comunista, ma frequentava la chiesa. Comunque, il conflitto si sta attenuando: ora cerco l’armonia. Nel nostro mondo c’è troppa arroganza e poca pazienza. Non c’è più solidarietà, non solo tra esseri umani, ma anche tra natura e uomo. E poi siamo sempre tutti incazzati! Anche per cose stupide. Che so… prova a sbagliare numero quando chiami un cellulare: non fai a tempo a scusarti che ti chiudono il telefono in faccia!
Che cos’altro ti fa arrabbiare?
L’ignoranza.
Il tuo nuovo album ha un sottotitolo: “Come possiamo volare con le aquile se siamo contornati da tacchini”. Che cosa significa?
Ognuno di noi sogna di volare, in tutti i sensi, ma c’è sempre qualcuno che ci frena, che ci tarpa le ali. Ecco, quello è il tacchino che ti riporta a terra. Ognuno di noi ha il suo tacchino.
Tu però sei riuscito a volare. Come hai fatto a liberarti del tacchino?
Perseverando. Se pensi di avere davvero qualcosa da dire, che non puoi trattenere, allora insisti, cerca di migliorarti e vedrai che prima o poi qualcosa succederà.
Il FLY parli della paura.
Siamo in un mondo in guerra, dove la paura ci contagia e diventa male di vivere. È una paura nei confronti di tutti: degli americani, degli inglesi, dei musulmani e dei cristiani, è uno scontro di civiltà. Molta gente si affida alla religione, capisco anche se non lo comprendo pienamente che si possa sentire il bisogno di rivolgersi a qualcosa di “superiore”. Il nostro è un mondo impazzito, dove si parla solo di soldi, di potere e di prevaricazione.
Nel tuo nuovo album c’è una canzone che parla della tragedia di New Orleans.
Sì. È la mia seconda città, un posto che amo moltissimo e dove ho incontrato un’umanità straordinaria. Lì ho lavorato in uno studio che adesso non esiste più. In passato ho evitato di parlare di guerra, di politica, di attualità. Ma in questo caso è stato inevitabile.
Hai tre figli: Irene, Alice e Adelmo junior Blue, ai quali hai dedicato la canzone “Quanti anni ho”. Che papà sei?
Con le ragazze sono apprensivo e geloso. Mi basta sentire la loro voce per capire immediatamente se c’è qualcosa che non va. Blue ha otto anni ed è dolcissimo, ma sa essere “hijo de puta madre” proprio come me. Anche quando siamo lontani il rapporto è continuo, ho bisogno di sentirli quasi tutti i giorni. Tengo gli occhi aperti, li osservo cercando di non essere invadente. Evito di dare consigli, se non me li chiedono.
Una delle tue figlie, Irene, è musicista come te (è appena uscito il suo singolo d’esordio, “Mastichi aria”).
Irene ha un talento naturale e spontaneo, deve solo armarsi di pazienza, tenacia e autostima.
Sei amico di tanti personaggi famosi. Ce n’è qualcuno che, in fondo, non ti piace?
Se una persona non mi piacesse veramente o addirittura la detestassi non potrei per nessun motivo esserle amico.
Che ne pensi di Prodi? Riuscirà a migliorare la situazione del nostro Paese?
Lo spero. Comunque, le mie idee politiche le ho sempre tenute per me, anche se nel mio ultimo disco, nella canzone “Cuba Libre”, ci sono dei riferimenti precisi alla mia ideologia.
Berlusconi canta. Lo consideri un rivale?
Non ci dormo la notte!
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