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09-12-2008 --> Return to articles
Il Resto Del Carlino

ZUCCHERO: «SI’ A SANREMO NEL NOME DI MIA FIGLIA»
Il Bluesman: «Irene è brava, la famiglia non c’entra»

di Andrea Spinelli
Padova
SE ALLE SPERANZE della canzone resta solo Sanremo siamo rovinati, giurava Zucchero fino a qualche tempo fa, scottato dall’essersi visto respingere per due volte dalla commissione selezionatrice la candidatura della figlia Irene. Ma ora che in Riviera tira un’altra aria e al timone della rassegna c’è Paolo Bonolis, l’uomo in blues sembra pronto ad ammorbidire il giudizio e a meditare addirittura un ritorno all’Ariston per sostenere le fortune canore della promettente erede. «Irene è brava e basta; il vincolo familiare non c’entra» assicura tra una tappa e l’altra di quel di quel Live In Italy Tour che lo porta domani a Modena, il 15 a Firenze, il 18 a Treviglio e il 20 a Varese. «Appartengo a quella categoria di persone che quando credono in qualcosa o in qualcuno vanno fino in fondo e quindi, se fosse necessario regalare a Irene un buon pezzo per Sanremo o metterci la faccia in prima persona affiancandola nella serata del Festival aperta ai padrini eccellenti, non mi tiro certo indietro. Anche perché io, prima di farcela, ho preso porte in faccia per otto anni di filato e quindi so benissimo quel’è l’importanza di una buona chance».
D’altronde pure Zucchero è un figlio di Sanremo
«E non lo rinnego. Dopo due tentativi a vuoto come Una Notte Che Vola Via e Nuvola, se nell’85 avessi fallito pure con Donne oggi non sarei qui. E invece il pezzo, pur arrivando penultimo in gara, ebbe grazie al Festival un successo commerciale che mi cambiò la vita».
Quali sono stati gli altri momenti importanti per lei?
«Sicuramente la pubblicazione di Oro, Incenso & Birra, l’album della consacrazione, quello che mi dette l’opportunità di iniziare a farmi conoscere all’estero grazie al tour con Eric Clapton. Poi metterei l’esperienza con manager inglesi tipo Miles Copeland o Roger Forrester che mi hanno fatto capire le regole del mercato internazionale e infine l’incisione di quella Miserere da cui è nata la mia grande amicizia con Luciano Pavarotti e con Andrea Bocelli che ne incise la voce-guida originaria».
Con Live In Italy il cofanetto dal vivo che abbina un doppio cd e un doppio dvd girato nel 2007 all’Arena di Verona, chiude una fase della sua carriera per aprirne un’altra?
«Forse. È che, suonando ogni sera qua e là per il mondo mi sono reso conto di avere al fianco la miglior band della mia carriera e da questa presa di coscienza è nata una gran voglia di raccontarmi così come suono sul palco. Anche perché l’unico precedente in materia era Live At The Kremlin, disco registrato un po’ fortunosamente nel ’91 in occasione del mio primo show moscovita».
Nella confezione speciale del live in vendita nelle librerie elenca tutte e 207 le esibizioni di questo lunghissimo tour. Quali le hanno lasciato il ricordo migliore?
«Forse quelle in paesi dove non ero mai stato tipo la Turchia, l’Australia o quelle isole Mauritius dove non mi aspettavo proprio di avere un pubblico».
Che Zucchero sarà quello prossimo venturo?
«E chi lo sa? Quando sono in tour non riesco a scrivere mezza canzone, però immagazzino idee, esperienze, per farle saltar fuori appena mi chiudo in studio. Sto pensando a un album dal sapore anni Settanta basato su un’idea forte; un concept come ai tempi del progressive, tanto per capirci, in cui sperimentare magari pure qualche suite alla King Crimson».
Guardandosi attorno, a chi chiederebbe una canzone per battere la crisi del disco?
«Ai Negramaro, ad Amy Winehouse (che, se si riprende dalla sua vita di eccessi, è una delle più grandi interpreti in circolazione), agli Snow Patrol, e al giovane Paolo Nutini che ho scoperto, quando ci siamo incontrati, essere di origini lucchesi».