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24-09-2006 --> Return to articles
Famiglia Cristiana

IL VOLO DI ZUCCHERO
Il disco si intitola Fly, "Volo": pieno di ritmo e melodia, contiene 12 canzoni, di cui una scritta con Fossati. Un’altra è un accorato omaggio a New Orleans.

di Gigi Vesigna

Arrivi a Pontremoli, ti inerpichi per una strada sterrata e l’insegna sul cancello avverte che stai per entrare in "Lunisiana". È Zucchero a spiegarmi che è una contaminazione tra la Lunigiana e Louisiana.
Zucchero è nato a Roncocesi (Reggio Emilia) il 25 settembre 1955 e la Louisiana, con New Orleans, è la terra del jazz, la musica della sua anima. Pontremoli è in Toscana: è qui che a 13 anni Adelmo Fornaciari, che ancora non era Zucchero, né "Zu" come lo chiamano in famiglia e gli amici più vicini, si è trasferito con i suoi genitori. «Mio padre», racconta, «era un contadino convintamente comunista, ma io andavo in chiesa a servir Messa perché il parroco mi lasciava suonare l’organo».
Sono venuto a trovarti per parlare di Fly, il tuo dodicesimo album che esce dopo cinque anni di silenzio, fatta eccezione per il disco di duetti con i più grandi interpreti della musica mondiale. Perché quel titolo?
«Prima di tutto perché è un bel suono, e vuol dire "volo"; poi perché tutti, nella vita o nei sogni, sogniamo di volare. Però, attento al sottotitolo che dice: "Come possiamo volare con le aquile se siamo circondati da tacchini"».
La tenuta dove Zucchero vive con la moglie Francesca e il figlio Blu (ma il suo primo nome è Adelmo) è un paradiso terrestre: c’è un vecchio mulino, qua e là pascolano cavalli e mucche, in un laghetto nuotano le papere. Tutto è fatto in casa, me ne accorgo durante il pranzo, semplice ma pieno di sapori antichi, che consumiamo all’aperto su un tavolo di legno. Più in là c’è "il pensatoio", un tukul africano che tutti chiamano "pilipili", ma nessuno sa perché. Ascoltando il disco, si ha la sensazione che le canzoni siano frutto di serenità e meditazione. «È vero», dice Zucchero, «una, L’amore è nell’aria, è nata mentre sonnecchiavo sotto un albero di fichi, faceva caldo e mi venne in mente un verso: "L’amore è nell’aria, sta con te, sorella d’estate e non va via..."».
Il nuovo disco, con 11 canzoni inedite, è stato realizzato assieme a grandi musicisti. La melodia c’è e si risente volentieri il suono quasi dimenticato dell’organo Hammond, tanto di moda parecchi anni fa. L’ascolto comincia con Bacco perbacco, che secondo le intenzioni doveva essere un tormentone dirompente ma che, pur restando trascinante, fonde funky, soul e padanità: «Pane e vino io ti porterò, miele e venere su dai campi, che c’ho l’anima in fondo del Po». La canzone sta per diventare l’inno ufficiale dei viticoltori italiani.
Una chitarra introduce un ritmo sontuoso, che è voglia di fuga da una vita fatta di schemi, dove forse la salvezza sta in un vecchio adagio che Zucchero inserisce nel testo, "La lengua e i man ghan sempre vinta an", che vuol dimostrare come la parola e la manualità possano fare da antidoto alla noia: questa è Un kilo, il secondo pezzo.
Quei tramonti insieme al figlio
Occhi è una delle canzoni che più si fanno amare. È il flash di un attimo, una ragazza vista e persa tra la folla di una metropolitana: «Incontri uno sguardo sconosciuto, e ti seduce. Poi la vedi con un altro e la bellezza fa rima con tristezza». Dedicata al piccolo Blu, otto anni, è Quanti anni ho. Racconta l’autore: «Non lontano da qui c’è una chiesetta del 1100. Ci vado spesso con mio figlio ad aspettare il tramonto: ce ne stiamo in silenzio, ma è come se ci parlassimo, quasi ci trasmettessimo a vicenda lui la sua adolescenza, io la mia maturità».
E arriviamo a Cuba libre, l’enunciazione di un sogno, quello di riuscire a dare un concerto nella Plaza de La Revolución all’Avana, davanti a 500.000 persone che ballano tutta la notte. Nel testo si cita "la lasagna" e la curiosità nasce dal fatto che, nella traduzione per l’estero, hanno voluto che la parola rimanesse in italiano perché quel piatto, così nostro, ormai appartiene al mondo.
È delicato è stata scritta con l’amico Ivano Fossati. Altra bellissima melodia è L’amore è nell’aria. Poi si arriva a Pronto, una telefonata che Zucchero fa a sé stesso come una confessione sulle sue paure: «Adesso io mi pianto, non mi sopporto tanto perché in questo mondo di guerra ho paura degli americani, e degli inglesi, e degli italiani, e dei musulmani, e anche dei cristiani. Non esistono più pazienza e solidarietà, non si comunica più, si parla solo di soldi, potere, prevaricazione, scontro di civiltà».
Zucchero sente molto il disagio del nostro tempo. «Sono credente, magari non praticante, ma in questo mondo non mi ritrovo, anche se la Provvidenza mi ha riempito di doni. Ho due figlie già grandi, Irene e Alice. Spesso mi fanno da coriste e sono davvero brave».
Un accorato omaggio a New Orleans, la città distrutta dall’uragano Katrina, è Let it shine; c’è un gioco di lieve trasgressione in Troppa fedeltà, scritta con Jovanotti; quindi la chiusura con E di grazia plena, una canzone d’amore in forma di preghiera "pagana", nella quale la donna soggetto dell’amore diventa quasi una Madonna in carne e ossa e la musica, per sostenere la tesi, diventa una specie di canto sacro.
Alla fine, approfittando del rilassamento dopo "l’esame" del disco, tento di tracciare una specie di biografia non autorizzata di Zucchero. Che è una contraddizione vivente, ha scritto le colonne sonore di un film di Tinto Brass (Snack Bar Budapest) e quelle per un cartone animato della Dreamwork, Spirit. È andato un sacco di volte a Sanremo, ma è sempre rimasto nelle retrovie, anche se ha lanciato Donne, uno dei suoi maggiori successi, eppure l’ha vinto tre volte, una con Bocelli, di cui tutti vantano la scoperta, ma si sa che è stato lui a scovarlo. Poi un anno, come autore, è arrivato primo con Luce di Elisa e secondo con Di sole e d’amore della sua amica Giorgia.
Sei un cantautore anomalo, perché le tue canzoni si possono anche ballare. Ti hanno persino accusato di aver copiato un brano di Michele Pecora e proprio in questi giorni il Tribunale di Milano ti ha scagionato completamente e ha addirittura condannato chi ti aveva denunciato a pagare le spese processuali...
«Tutto vero, ma l’accusa di plagio mi ha fatto davvero soffrire: certe volte ai concerti qualcuno mandato di proposito esponeva striscioni con la scritta "ladro". Striscia la notizia poi mi ha massacrato e io sono stato così stupido, dopo che il collegamento era stato chiuso più che civilmente, a reagire in un modo di cui mi vergogno, quando mi sono accorto che c’erano ancora un microfono e una telecamera accesi e le domande erano diventate provocazione. Adesso questa sentenza, in concomitanza con l’uscita del mio disco e del mio compleanno, mi sembra un segnale forte».
Non si può dire che gli manchino amici e nemici. È talmente soddisfatto che non ho il coraggio di ricordargli che nella vita di ognuno, almeno una volta, appare Mary Poppins! E quindi... basta un poco di zucchero.