Rockstar
IO E STING
Una grande amicizia, un continuo scambio di idee ed emozioni. Fin da quella cena in campagna…
Quella con Sting è una storia lunga e bella, che mi ha dato tanto, musicalmente e umanamente.
Lo incontro per la prima volta grazie a un suo sosia, il fotografo Gligorov, che assomigliava così tanto a Sting da essere scambiato da tutti per suo fratello. Sting aveva organizzato una cena in una villa che aveva preso in affitto, a Migliarino Pisano, e aveva chiesto a Gligorov di invitare qualche personaggio dello spettacolo. Il fotografo gli aveva fatto il mio nome e Sting aveva reagito bene, dicendo che gli piaceva moltissimo la mia musica. Era luglio inoltrato, l’anno il 1990. ero al mare quando Gligorov mi chiamò per dirmi che Sting mi aspettava. Mi avviai alla villa curioso e felice, ma anche un po’ preoccupato. Chissà che tipo era, Sting.
Mi accogli calorosamente: “Zucchero, I love you, I love your music”. Cordiale, simpatico, aperto. Cominciamo bene. Andiamo a tavola e lì, al mio fianco si siede un signore biondo, che non parla, non saluta nessuno, non sorride mai. Una mummia.
Dopo un po’, comincia a interrogarmi, in americano.
“Chi sei?”.
“Zucchero”.
“Zucchero who?”.
“Zucchero, I’m an italian singer”.
“Che musica fai?”.
“Blues”.
Fa l’aria schifata: “Blues? Un italiano che canta il blues in americano?” “No, in italiano”.
Si volta dall’altra parte e comincia a mangiare sempre più schifato. Era Miles Copeland e sarebbe presto diventato il mio manager. Dopo cena, ci mettiamo in una stanza dove Sting mi chiede di gargli ascoltare i miei nuovi brani, quelli di Oro, Incenso & Birra. Impazzisce per “Madre Dolcissima”. Miles dice: “Ma le parole non significano niente, devi cambiare tutto”. Madonna, quanto mi stava sul cazzo. Poi è il turno di Sting di farmi ascoltare le sue nuove canzoni, quelle che avrebbero poi fatto parte di Soul Cages. Al termine di “Mad About You” mi dice: “Zucchero, ho bisogno di te. Mi puoi curare la versione italiana di questa canzone?”. Rispondo che ci avrei provato, volentieri. Il giorno dopo parto per Londra e, in albergo, in dieci minuti mi viene il testo, di getto.
Qualche mese dopo, siamo nel 1991, andiamo a Capri e gli insegno a cantare in italiano. Poi, registriamo il duetto che aiuterà l’album a riprendere le vendite, che erano un po’ rallentate.
Da allora, diventammo amici. Mi ha invitato al suo anniversario di matrimonio, quando ha riformato i Police. Sono stato padrino di sua figlia Cocò, in una cerimonia sempre a Migliarino Pisano. Abbiamo cantato insieme al concerto per Rainforest, alla Carnegie Hall di New York, nel 1994, con Elton John, Tina Turner e James Taylor. Ci siamo divertiti nel dividere spesso il palco e nel comporre un brano per la colonna sonora di The Mighty, il film con Sharon Stone.
Con me è sempre stato gentile e alla mano. Mi dicono che a volte estragga il pungiglione e diventi un po’ arrogante. Può darsi. Che sia narcisista e curi molto il suo aspetto e il tenore di vita, lo ammette anche lui. Con me, ripeto, è sempre stato generoso e semplice. Ha radici umili, per questo mi piace. Certo, è un’altra persona rispetto a Bono. Bono è espansivo, ruspante, diretto; Sting è sofisticato, educato, elegante, ma non ha mai adottato atteggiamenti da snob inglese. È legato alla famiglia, gli piace giocare con la moglie Trudy, con cui ha un rapporto di bella complicità. Una complicità di ferro. Lui dice di poter fare sesso per sette ore di seguito, ma poi, quando gli chiedono conferma delle sue dichiarazioni, ammette che nelle sette ore sono compresi anche la cena e il cinema. La moglie, a un noto presentatore televisivo americano che le domanda se è vero che lei e Sting sono amanti dello scambio di coppia, risponde: “Vuoi partecipare? Io e Sting ti aspettiamo domani”.
La decisione di Sting di utilizzare Cheb Mami in “Desert Rose” la deve a me, a un concerto del 1998 a Parigi dove ho cantato “Così Celeste” con l’israeliana, Noa, e Cheb. Uno dei tanti momenti in cui ci siamo scambiati le intuizioni.
Tratto da: ZUCCHERO WHO? di Adelmo Fornaciari
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