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15-09-2006 --> Return to articles
Panorama

DIALOGHI SULLA MUSICA
Le canzoni, i costi dei concerti, Sanremo: faccia a faccia FOSSATI - ZUCCHERO

Mentre sta per uscire "Fly", nuovo cd di Fornaciari, i due fuoriclasse parlano di Siae, tv, discografia, iPod, internet. Senza diplomazia. E dopo avere scritto un brano a quattro mani sognano un tour insieme.
Un po' tali e quali, un po' come il giorno e la notte. Zucchero Fornaciari e Ivano Fossati sono quasi coetanei: classe 1955 il primo, 1951 il secondo. A 12 anni ascoltavano la stessa musica: Randy Newman, Otis Redding, Procol Harum, Ray Charles, e si fingevano polistrumentisti per entrare nelle bande di paese. Pigro e riflessivo Ivano, istintivo e un po' ingenuo Zucchero. Fatti per stare insieme, sembrerebbe: bizzarro che si conoscano soltanto da pochi mesi.
E' stato "Zu" a fare il primo passo, dopo una specie di rivelazione esplosa mentre guidava ai piedi delle Alpi Apuane. Nell'autoradio girava L'Arcangelo, l'ultimo album di Ivano Fossati, quando Sugar si è trovato a pensare a quanto sarebbe stato bello scrivere una canzone insieme. Gli ha mandato una email "piena di complimenti e di calore" ricorda Fossati. E tutto è cominciato.
Da quel giorno si sono telefonati, scambiati idee, incontrati tre volte nella casa di Zucchero a Pontremoli. Fino a oggi, in occasione di questa chiacchierata organizzata in esclusiva per Panorama nella quale parlano di musica, si dichiarano amicizia, e quasi reciproca invidia: "Vorrei avere la tua testa" gli confessa Zucchero. "Io vorrei possedere la tua spinta, magari fare un tour insieme" gli risponde Fossati, che proprio in questi giorni pubblica la raccolta di successi Ho sognato una strada.
Ma Fossati, adesso, è qui per "Sugar": il 22 settembre è il giorno di Fly, il nuovo album di inediti in uscita a cinque anni da Shake. Tra le canzoni c'è anche quella scritta a quattro mani, tra la Liguria e la Lunigiana: E' delicato.
Fossati. Ho ancora a casa il provino della canzone cantato in maccheronico, nascosto in una credenza. Sono terrorizzato dall'idea che possa finire in mano a qualcuno.
Zucchero. In effetti c'è poco da stare tranquilli: ho fatto la stupidata di spedire via posta alcune canzoni al mio produttore americano, Don Was, e qualcuno le ha rubate minacciando di metterle su internet. Ho dovuto sporgere denuncia alla Polizia postale.
F. Pazzesco. Resta il fatto che scrivere una canzone insieme è sempre un piccolo miracolo. L'esperienza mi dice che le collaborazioni più lunghe sono però difficili: un artista non può mai essere veramente flessibile.
Z. A proposito di collaborazioni, ti racconto una storia spassosa: Miles Copeland, produttore di Sting e R.E.M. e per un periodo anche mio manager, aveva l'abitudine di invitare alcuni artisti a lavorare nel suo castello di Bordeaux. Una mattina mi chiudono in una stanza con un tipo con i capelli rossi, paroliere di Rod Stewart, col compito di sfornare una canzone entro l'ora di cena. "Dai Zucchero, facciamo una hit!" mi dice questo qua. E io: "Ma cosa vuoi fare alle 8 del mattino? Non ho neppure preso il caffè". Ho finto di uscire a fumare una sigaretta e non mi hanno più visto.
F. Spassoso, sì. Vedi cosa succede a diventare artisti internazionali? Quando i discografici hanno tentato di esportarmi è stato un disastro. Avere successo nel mondo e mantenerlo è una fatica immensa.
Z. E infatti ho voglia di rallentare: sono arrivato a 51 anni e sono stato poco a casa, sempre in giro, sempre preso da qualcosa. E' settimane che dovrei dare l'ok alla tournée ma non mi decido. Vorrei imparare a dire dei no, ogni tanto.
F. Io di no ne ho detti troppi, e forse ho sbagliato, dimostrandomi snob verso il mio mestiere. In fondo avere il mondo a disposizione è la più grande soddisfazione che un musicista possa provare. Penso per esempio a Tiziano Ferro, un ragazzo che è stato in grado di imporsi a livello planetario proprio per la scelta di non fare musica etichettabile come italiana. Ma in compenso, ogni tanto mi ritrovo qualche canzone cantata da altri, senza che nessuno mi abbia avvertito.
Z. Esattamente quello che è successo a me con Laura Pausini, che ha inciso Come il sole all'improvviso per la colonna sonora di un film con Enrico Lo Verso. L'ha scoperto mia moglie Francesca portando nostro figlio a vedere Cars al cinema. Le case discografiche, almeno loro, potrebbero degnarsi di avvisare.
F. Le case discografiche non sanno più qual è la loro funzione. Quando ho cominciato io c'erano i pianoforti nei corridoi, dove autori e discografici s'incontravano. Oggi siamo davanti ad aziende i cui funzionari mi telefonano per parlare di come mettere un cartonato promozionale al supermercato, o in autogrill. Per capire internet, poi, siamo in ritardo di dieci anni. La verità è che l'idea chiara di come si venda oggi un progetto musicale non ce l'ha nessuno.
Z. Credo ancora che solo i bei pezzi possano sfondare il muro. Io scrvo ancora le canzoni una in funzione dell'altra, e non riesco a cambiare il mio atto creativo per venire incontro a un ragazzo con l'Ipod che ascolta un mio brano, poi salta a quello di un altro, e poi torna al mio disco. Mi sembrerebbe di stare dal salumiere: un etto di mortadella di qua, uno di prosciutto di là.
F. Pensa che confuzione al momento di stabilire quanto spetta all'artista e quanto alla casa discografica.
Z. In questo senso, viva la Siae: non sai mai quanto diavolo si trattengono nel loro calderone di tabelle e di numeri, ma quelli che arrivano sono pochi, sicuri e subito.
F. La verità è che in Italia è curiosamente vietato parlare di audit, il controllo che in tutto il mondo gli artisti fanno periodicamente coi discografici per stabilire le rispettive spettanze.
Z. Da noi si fa solo quando interrompi il rapporto di lavoro. Se al contrario chiedi di fare l'audit mentre il rapporto è ancora in corso, i discografici lo prendono come una mancanza di fiducia e si offendono. Sarebbe bene cominciare a pensare ai problemi veri, come per esempio gli studi di registrazione, che in Italia stanno scomparendo.
F. Però, nonostante tutto, nascono ancora cose importanti. Penso a Caparezza, per esempio, che trovo giocoso ma contemporaneamente molto profondo. Il fatto è che forse il giocattolo tecnologico spinge ad avere con la musica lo stesso rapporto che abbiamo con la tv.
Z. Non parlarmi della televisione. Ormai si è diffusa l'idea che la musica non faccia audience e non esiste un programma dove si possa suonare decentemente. Credo che noi artisti dovremmo unirci per reclamare spazi più adeguati in tv.
F. Non per niente gente come Gaber, Guccini e De Gregori è stata molto lontana dalla televisione.
Z. Per un cantante non andare in tv è salutare. E meno ci vai più gente viene a vederti dal vivo. In tutto il mondo gli artisti si sono convinti di questo. E poi la televisione può diventare violenta: la sai la storia di Striscia la notizia che mi accusava di aver copiato una canzone di Michele Pecora? Ci ho messo tre anni per veder riconosciuta la mia estraneità. E ho sofferto tantissimo.
F. E adesso non ti verrebbe la tentazione di alzar la cornetta e chiamare chi di dovere?
Z. No, sono a posto così. Avrei voglia di parlare per ore di questa storia, ma poi so che verrebbe fuori un pieno incredibile e non ne ho voglia.
F. Pensa che io ho smesso di frequentare la tv nel 1983. Dall'anno successo la gente ha cominciato a venirmi a sentire a teatro.
Z. Le iniziative promozionali per Fly prevedevano sei ospitate: le ho fatte cancellare tutte. Andrò soltanto dove c'è spazio per parlare, dove c'è gente preparata. da Fabio Fazio a Che tempo che fa per esempio, dove non sei costretto in 3 minuti e mezzo a parlare di anni di lavoro. A quel punto tanto vale farsi confezionare in un fusto di detersivo e farsi spedire a casa della gente.
F. Anche se poi, una volta che il pubblico ti viene a vedere dal vivo, bisogna dare la possibilità a tutti di potersi permettere di pagare il prezzo del biglietto. Altrimenti vince la tv. Due anni fa ho fatto un tour contenendo i prezzi e ho visto il pubblico duplicarsi. D'ora in poi voglio garantire sempre l'ingresso ai ragazzi: non voglio più cantare per una platea di commercialisti e notai e rispettive mogli.
Z. Ti capisco. Io per esempio non pagherei mai 40 euro per andare a vedere Zucchero. Però i promoter ti fanno il lavaggio del cervello: il pubblico è maturo, dicono. Vogliono il posto numerato. La verità è che non sanno abbassare i costi. Ma a chi mi segue lo posso guirare: con un tour, non ci ho mai guadagnato un soldo.
F. Purtroppo le logiche sono vecchie. Pensa ai grandi eventi live, ai concerti e alle manifestazioni di beneficenza. Anche lì il balletto delle presenze, il tiraemolla per suonare all'ora del telegiornale è davvero imbarazzante. E poi è curioso notare come in gran parte dei casi chi partecipa a queste iniziative abbia sempre un disco in uscita.
Z. Quando sono cose organizzate da artisti, da Bruce Springsteen o da Sting, bisogna fidarsi, senza troppe menate sulla tutela della propria immagine. Anche al Festival di Sanremo ogni anno è la stessa storia: mi invitano e poi all'ultimo cambia qualcosa, si prendono altre decisioni. Io non so più se faccia bene o faccia male andare all'Ariston a fare l'ospite: a questo punto, mi verrebbe voglia di partecipare come concorrente.
F. Io ci sono stato il più delle volte nelle vesti autore.
Z. Se mi parli di vesti, però non posso fare a meno di ricordarti il caferano rosso che indossavi coi Delirium, quando hai portato a Sanremo nel 1972 Jesahel.
F. Ah, ecco l'amico, la vipera!
Z. Io per esempio non posso più fare a meno del mio cappello, che è tale e quale a quello che portava mio nonno, una lobbia italiana dell'Ottocento color tabacco fatta a Pistoia. Su di lui però aveva un effetto diverso, perchè aveva una barba molto folta, un obiettivo che per me è impossibile da raggiungere: per farmela arrivare alla lunghezza di adesso ci ho messo quasi 10 anni. Mi piace l'idea di avere la sua stessa aria da saggio buono.
F. Prima di salutarci, volevo dirti che mi ha fatto molto piacere vedere a casa tua gli stessi dische che ho anch'io, tutte le cose con cui sono cresciuto. Ho notato che ti manca il disco solista di Gary Brooker, il tastierista dei Procol Harum...
Z. E' vero, il problema è che ormai è praticamente introvabile.
F. Io ce l'ho. Magari ricordamelo la prossima volta che ci vediamo, così te lo duplico.

testimonianza raccota da Raffaele Panizza