Il Gazzettino
PARIGI
A parte qualche festival estivo nel 2004, erano sei anni che Zucchero non partiva in tour alla riconquista del mondo. L'ultimo disco "Fly" è stato un ottimo motivo per rifare le valige e cominciare a correre. «Sarò in giro fino a dicembre - spiega - e voglio registrare i concerti di Verona, il 22 e 23 settembre, ma aspetto che mi approvino anche una terza data, per farne un dvd».
Il tour si è aperto a Parigi. Due date esaurite al prestigioso teatro Olympia, con Biagio Antonacci che è venuto a trovarlo nei camerini e Johnny Hallyday, leggenda del rock'n'roll francese, che è salito sul palco ieri sera. Pubblico caldo come la temperatura da sauna finlandese. Molti con indosso maglie del Milan (qualcuna datata o futurista, con il 7 di Shevchenko), moltissimi i francesi, popolo che «ha dimostrato di amarmi di più dopo italiani e svizzeri».
Bello il concerto, aperto dalla figlia Irene Fornaciari, quattro brani del suo primo e finora unico album "Vertigini in fiore", accompagnata solo da un chitarrista, prima di sedersi in platea a guardare lo show del padre. Che si fa trovare su un trono alla Solomon Burke scegliendo subito un'introduzione di grande atmosfera, "Dune mosse".
La band è molto cambiata rispetto al passato. Polo Jones è sempre al basso, Mario Schilirò è «una certezza» alla chitarra, David Sancious è tornato alle tastiere facendo sentire tutto il suo peso, mentre la batteria di Adriano Molinari torna a dare un tempo senza additivi elettronici e la chitarra di Kat Dyson è uno splendido contraltare e complemento di quella di Schilirò. Alla voce Sara Grimaldi occupa il posto che spesso ha avuto in studio: «Abita vicino a me ed è sempre stata disponibile quando dovevo fare provini o aggiungere cori. Era il momento di portarla in palco». E visto che la band ha colori scuri, Sara decide di indossare una parruccona "afro" alla Angela Davis.
L'ultimo disco è tutto concentrato nelle prime sei canzoni oltre le "dune". Poi è soprattutto "Oro incenso e birra" a fare la parte del leone dopo 18 anni dalla pubblicazione, in due ore di concerto tirato e costruito tra ritmo nero e melodia.
La band, in uniforme napoleonica, compare a metà del primo brano, quando il sipario dorato sale alle spalle di Zucchero rivelando una scena dominata da un fondale metallico, canne d'organo, tre grandi lampadari in stile New Orleans, e vecchi oggetti prelevati nella sua casa. I brani hanno tutti qualcosa che li incatena. "Dune mosse" termina con la parola "occhi" ed è "Occhi" il brano che segue. L'organo alla Procol Harum di "Quanti anni ho" continua sui tempi lenti, finchè un riff blues introduce "Bacco perbacco" e poi "Pronto" con il trono che sparisce dopo il secondo brano e Zucchero i piedi, chitarra in mano diventa parte della band.
"Un kilo", con le sue accuse di leggerezza, sembra rivolto a qualcuno in particolare. «Ma non è Vasco Rossi, come ho letto. Sono io quello col cervelo che non pesa un kilo. Racconto di me in alcuni momenti "giù" e in altri migliori».
Vasco, racconterà dopo lo show, lo ha convinto a togliere un'immagine piuttosto volgare e pesante da "L'urlo", cantata a Parigi con un testo modificato rispetto all'originale su "Miserere": «Una volta mi disse: "Devi scrivermi delle canzoni a me, però le parole le faccio io, perchè tu esageri..."».
Ma le avete fatte poi queste canzoni insieme?
«No perchè io sono uno pratico, concreto. Se dico sì è sì se no no. Lui è uno che dice: "Dobbiamo fare questa cosa. Ti chiamo domani". E sparisce n mese... Ci sentiamo a ogni disco. C'è una sana rivalità, da musicisti. Perchè io in Italia sono il re del blues, e lui e il re del rock. E basta. Siamo solo noi. Gli altri al massimo sono cantautori elettrici».
E Eros Ramazzotti è il re del pop?
«Ma sì, diciamo così».
In concerto Zucchero ripropone le sue grandi ballate melodiche e le sue esplosioni di ritmo mutuate dalla musica nera. "Il volo", "Diamante", "Così celeste" diventano poi "Baila" "Overdose (d'amore)", "Il mare", con la gente in platea e in galleria che si alza e danza in un rito festoso collettivo.
«Alla fine amo le ballate, perchè è la melodia che fa la differenza nel mondo, e che noi italiani abbiamo e gli altri non hanno. Vedo oggi un gran ritorno alle canzoni scritte a chitarra e voce come una volta, senza computer, ed è bello così perchè purtroppo da tempo non si scrive più così. Sono per una musica fatta senza calcolo, che a volte va bene a volte magari no, fatta per divertimento. Fa bene anche a quello che devi fare dopo. Fa bene anche fare cover, o suonare in piccoli posti, come Van Morrison o B. B. King, che un giorno sono in un club un altro magari in uno stadio».
Dopo aver proposto "It's allright", ballata da "Miserere", e la lenta affascinante "Everybody's got to learn sometimes", Zucchero offre una grande cover del passato, "Nel così blù", sua traduzione di "A salty dog" dei Procol Harum «uno dei più grandi pezzi mai scritti, con questa strana sequenza di accordi, quasi bachiana».
Il brano è uscito solo nella versione non italiana del nuovo disco, ma finirà nel dvd: «La farò a Verona, dove mi piacerebbe portare degli ospiti da sogno, Sheila E. alla batteria, Jeff Beck alla chitarra, Steve Winwood all'organo. Potessi, mi piacerebbe avere un coro con Patti Labelle e Chaka Khan, e magari quell'incredibile pianista di 16 anni che ho scoperto a new Orleans, Jean Pearl».
Parigi lo ascolta nel tempestoso finale da "Con le mani", "Solo una sana e consapevle libidine" e "Diavoilo in me" chiamandolo per vari bis, da "Madre dolcissima" e "Senza una donna" alla semplice delicata e conclusiva "You're so beautiful".
Un passaggio al Festivalbar?
«Alla finale. Prima non posso. Sono in tour. Ma la finale in Arena sì, se Salvetti mi vuole ci sarò».
Giò Alajmo
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