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IL CORRIERE DELLA SERA- Mercoledì 13 Febbraio 2002

DAL NOSTRO INVIATO ZURIGO

«Voglio morire sul palco, ...>>
Mario Luzzatto Fegiz
inviata a Zurigo
«Voglio morire sul palco, possibilmente accudito da due belle coriste. Morire è naturale e inevitabile. Ci sono tanti miei colleghi che sono già morti, sul palco e non lo sanno». Così Zucchero, 46 anni, ovvero Adelmo Fornaciari, all’indomani del trionfale debutto dello «Shake world tour 2002» al Hallenstadion di Zurigo davanti a oltre 14 mila spettatori che hanno ballato dall’inizio alla fine in un clima di entusiasmo indicibile. «In questo show ho cercato di cancellare ogni reminiscenza cantautorale sia nella scelta del repertorio che nel modo di presentarmi. A parole non ho più nulla da dire. Con la musica sì. Mi do moltissimo con una band che pulsa e mi butta sulla schiena qualcosa di forte».
Lo show è in scena stasera a Montichiari (Brescia), prima data del segmento italiano del tour che tocca, tra le 18 date, Torino (domani), Bologna (16), Firenze (6) e Milano (9 e 10) cui seguiranno 13 appuntamenti in Europa e poi Australia Giappone, Nordamerica e Sudamerica.
Il tour è la naturale continuazione di quella piccola rivoluzione sonora che, partita dall’album «Shake», uscito in settembre e tutt’ora in classifica, viene ora applicata anche al resto del repertorio scelto per lo show. «Ci sono dei timbri che mi hanno stufato - spiega Zucchero - come i fiati. Così prelevo suoni dagli anni Cinquanta e Sessanta e creo dei "sample".


Sì, ammetto, uso l’elettronica e i computer. Smettiamo di considerare questa tecnica come gli alimenti geneticamente modificati. Ci vuole gusto, moderazione, rispetto delle armonie, ma è l’unica maniera per avvicinare i giovani a grandi maestri del blues come Rufus Thomas o Lee Hooker o Marvin Gaye».
In un palco che ricorda nelle luci e nella sgargiante semplicità gli studi dei tempi della Motown e delle Supremes, arricchito da una passerella a semiellisse che lo porta in mezzo al pubblico, Zucchero parte con un serratissimo e tesissimo collage da «Shake»: «Sento le campane», «Music in me» (in una estremizzazione spettacolare del blues), «Porca l’oca», «Ali d’oro», «Dindondio», «Rossa mela della sera», «Baila» (che scatena nella platea un autentico delirio), «Ahum» condito dai virtuosismi vocali delle due coriste (è tornata Lisa Hunt). Si passa a questo punto a canzoni molto popolari del passato, ma il clima da festa blues pagana al calor bianco non cambia: «Overdose d’amore», seguita dalla allegra «Pompa», «Il mare» col suo crescendo di sensualità. L’intervento sui brani non altera l’armonia né la melodia: solo i suoni son più secchi, moderni, e privilegiano la ritmica. Il repertorio di Zucchero contiene molte canzoni melodiche: ma in questo nuovo contesto ne arrivano solo tre: «Dune mosse», «Diamante», «Il Volo». Prossimamente si aggiungerà «Ho visto Nina volare» di De Andrè.

Poi il sabba riprende: «Con le mani», «Libidine» (col testo, «solo una sana e consapevole libidine salva il giovane dello stress e dall’azione cattolica» che scorre su un apposito schermo per facilitare il karaoke del pubblico), «Diavolo in me», «Shake».
Dopo il primo bis («Scintille») arriva a sorpresa Paul Young, che fu il primo a duettare con Zucchero nella versione inglese di «Senza una donna». Decisamente simpatico, Young. E il pubblico perdona una prestazione vocale imbarazzante. Pieno carnevale con «Per colpa di chi». E ultimo bis con chitarra acustica per una canzone tristissima «Tobia», un cane disperso, su testo di De Gregori.
Trionfo meritato di uno show divertente, coerente, senza sbavature e cali di tono. Non a caso tutto esaurito già in molte città. In camerino Zucchero si sfoga: «Quando morirò spero si dica: non era un granché però in scena sudava tanto, ce la metteva tutta, si faceva un c... così. Un grande artista? Non si sa. Di certo una grande sgobbone».

 


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